Artìculus de àterus giassus


All’università di Cagliari una tesi di laurea in lingua sarda: “Padre Luca in sa terra de sa poesia”

L’eaborato del neo-dottore Luca Atzori per riscoprire e sanare le lacune relative alla biografia e alla produzione letteraria del poeta pattadese Luca Cubeddu

All'università di Cagliari una tesi di laurea in lingua sarda:

Di: Pietro Lavena

In sardu iscrio, in sa limba imparada dae totu chena mastru in pitzinnia; in conca mia restadu non bi hada ne latina ne itala poesia, si in cussas limbas l’haere impastada mi diant haer nadu chi no est mia. Coment’isco faeddo, accolla nada, però est cosa mia et non furada”.

“Scrivo in sardo, la lingua imparata da tutti senza maestri da bambino; nella mia testa non è rimasta memoria di poesie latine o italiane, se avessi scritto in quelle lingue mi avrebbero detto che non erano parole mie. Parlo come so fare, ecco tutto, però è roba mia e non rubata”.

Con questi versi densi di passione il pattadese Luca Cubeddu, uno dei padri nobili della poesia in lingua sarda, affermava il proprio ostinato senso di appartenenza culturale e linguistica a un’Isola che ha cantato e permeato di messaggi lasciando in dote una inestimabile eredità letteraria. Oltre due secoli dopo la sua morte Padre Luca è una delle figure più amate dagli appassionati di poesia in limba. Dai suoi versi, che hanno attirato l’attenzione di critica e studiosi, hanno attinto a piene mani le formazioni di canto popolare impreziosendoli con armonie che li hanno resi ancor più celebri.

Fra i tanti affascinati dalla vicenda del Cubeddu anche Luca Atzori, 29enne di Palmas Arborea, che ha conseguito nei giorni scorsi la laurea magistrale presso la facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Cagliari con una tesi dal titolo “Padre Luca Cubeddu in sa terra de sa poesia”. L’elaborato, interamente scritto in lingua sarda nella variante campidanese, affronta alcuni nodi cruciali nella ricostruzione della biografia e della produzione cubeddiana. Un’attenzione particolare è stata riservata poi alle problematiche relative al recupero di una delle opere più importanti eppure meno conosciute del poeta di Pattada: la commedia Sa Congiura iscoberta de sos Trojanos madamizantes.

Una ricerca mossa, come racconta Atzori, “dalla passione per la lingua con la quale sono cresciuto. Nella convinzione che la letteratura sarda vada valorizzata  ho deciso di contribuire anche io e fare qualcosa a vantaggio della nostra lingua, che i giovani parlano sempre meno. Per il mio lavoro è stata molto importante l’intuizione del professor Francesco Casula. Prima di iniziare la tesi chiesi a lui, che conoscevo e apprezzavo come storico, un suggerimento su qualche opera in sardo che meritasse di essere presa a esame. Fu proprio Casula a parlarmi di questa commedia semisconosciuta di Luca Cubeddu mettendomi in contatto con un appassionato di poesia sarda, Lussorio Cambiganu, che a sua volta ha funto da ponte con un altro studioso, il pattadese Angelo Carboni, autore di diversi volumi dedicati agli autori del suo paese fra cui lo stesso Padre Luca”.

“Grazie a queste persone – prosegue Atzori – ho deciso di accettare una sfida che ritenevo entusiasmante. Ho avuto poi modo di consultare la versione parziale della commedia riportata da Angelo Carboni nel suo libro Riu Toltu. Si tratta però di una versione incompleta. De Sa Congiura esistono solo tre copie complete al mondo: una si trova in Germania, una in Spagna e una a Chicago. Così mi sono avvalso della preziosa collaborazione della Biblioteca “Giordano Bruno” di Cagliari mediante la quale sono riuscito ad avere un file pdf della commedia dalla Germania”.

Dopo aver recuperato il documento, il 29enne ha svolto approfondite ricerche sulla biografia di Padre Luca, riguardo alla quale tante sono le lacune a partire dalla data di nascita dubbia. “A tal proposito – riconosce – va dato merito ad Angelo Carboni di essere l’unico ad aver fornito spiegazioni circostanziate che tendono a individuare quale data di nascita il 6 aprile 1948, piuttosto che il 19 marzo 1749 come per tanto tempo si era pensato”.

“Ho poi analizzato il periodo storico che va dal 1720, quando la Sardegna passò in mano ai Savoia, al 1848. Successivamente ho affrontato la questione degli errori commessi negli studi della poesia di Padre Luca e più in generale della poesia in Sardegna. Gli studiosi italiani e stranieri hanno erroneamente analizzato la nostra poesia applicando concetti e categorie proprie della poesia italiana ed europea, ma la poesia sarda segue regole assolutamente proprie e peculiari. Infine, nel quarto capitolo della tesi, ho analizzato l’intera opera cubeddiana dividendo la produzione fra poesie giovanili e poesie della maturità. Ho tratto poi le mie conclusioni valutando che Sa Congiura sia un’opera scritta in un periodo precedente alla rivoluzione francese”.

Un lavoro certosino affrontato con tenacia su tematiche complesse dal quale Atzori si è lasciato rapire con la supervisione del professor Duilio Caocci, docente di Letteratura sarda e relatore dello studente. E sulla difficoltà di affrontare testi in logudorese per lui, parlante campidanese, il neo-dottore dice: “In realtà non l’ho avvertito come un ostacolo, ma come l’opportunità di conoscere meglio una variante così suggestiva. Sono solito parlare in sardo anche con chi proviene da aree della regione diverse dalla mia. Ne approfitto per invitare i genitori a insegnarlo ai bambini e parlarlo con loro fin da subito. Se hai un buon vocabolario della tua variante, una volta che impari a riconoscere le differenze fonetiche, non c’è nessuna difficoltà ed è anzi un piacere scoprire nuovi termini del lessico. Le differenze lessicali delle varianti sono una ricchezza – conclude Atzori -: il fatto che non si conoscano alcuni termini di altre varianti non significa certo che non si parli la stessa lingua”.

 

Raffigurazione di Padre Luca Cubeddu

 

Pigau de: https://www.sardegnalive.net/news/in-sardegna/40699/all-universita-di-cagliari-una-tesi-di-laurea-in-lingua-sarda-padre-luca-in-sa-terra-de-sa-poesia

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Pigau de: http://www.ladonnasarda.it/magazine/intervista/5259/stefano-cherchi-la-lingua-sarda-come-segno-di-identita.html#sthash.VULp95Tl.dpuf

Stefano Cherchi: la lingua sarda come segno di identità

La lingua identifica un popolo, ne traccia la cultura, rendendo il sentire di ciascuna comunità diverso da ogni altro. La lingua sarda, in particolare, è al crocevia tra l’essere considerata una lingua “vera e propria” e un dialetto usato in occasioni informali o in comunità periferiche e rurali. Il dibattito su questo tema è sempre aperto e si continua a discutere soprattutto per ciò che riguarda l’introduzione della lingua sarda nelle scuole.

Stefano Cherchi, che divide la sua vita tra la professione di cardiologo e la sua passione per questa lingua – che insegna e diffonde attraverso numerose attività e importanti pubblicazioni – ci parla dell’importanza dell’insegnamento ai più piccoli del sardo originario e ci spiega quale sia, ad oggi, il rapporto tra l’italiano e la lingua dell’Isola.


La situazione tra lingua sarda e lingua italiana è di diglossia piuttosto che di bilinguismo: ci spiega la differenza?
Pensi al perché la redazione pubblica questa intervista in italiano e non in sardo come avrei voluto: la diglossia è la compresenza di due lingue nella comunità, con ruoli sbilanciati: l’italiano usato in tutti i contesti di comunicazione scritta e orale, formali ed informali, il sardo ormai rinchiuso nella sola quotidianità orale familiare; il bilinguismo è la perfetta parità e dignità delle due lingue in tutti gli usi e i contesti sociali scritti e orali.

Il sistema linguistico sardo è divisibile in due macrovarietà, cioè logudorese e campidanese: per questo l’Acadèmia de su Sardu onlus, di cui lei fa parte, propone il doppio standard? Quale finalità ha?
Posto che nel sistema sardo c’è un continuum di variazione che rende difficile tracciare delle divisioni precise fra varietà perché i diversi fenomeni linguistici seguono linee di demarcazione molto intricate fra loro (le isoglosse), ciò non toglie che molti elementi ad aspetto prevalentemente bipolare hanno creato una storia letteraria scritta e orale (poesia, prosa, teatro, i cantadoris) espressa nei secoli in due varietà piuttosto diverse fra loro. In un contesto in cui il livello di conoscenza della lingua è molto scarso specialmente tra i più giovani, uno standard che si allontani troppo dalle parlate locali (le uniche che la maggior parte della gente conosce) ha poche possibilità di essere accettato; a questo fine ci sembra quindi molto più facile codificare le due varietà storico-letterarie del sardo.

Cosa pensa dunque della LSC (Limba Sarda Comuna) voluta dalla Regione Sardegna nel 2006?
Credo che come puro strumento ortografico per i documenti in uscita della Regione (unico compito per cui fu concepita) debba essere migliorata; non è comunque proponibile oggi per un’oculata pianificazione linguistica che voglia far riapprezzare e riprendere l’uso della lingua ai cittadini. Ci vorranno forse 15-20 anni di presenza costante del sardo nella società per pensare ad uno standard unico ufficiale per tutti gli usi che presuppone di necessità la conoscenza delle varietà principali del sardo da parte di tutti.

Oggi l’insegnamento del sardo nelle scuole non è obbligatorio: la Regione finanzia i progetti proposti dai singoli istituti. Cosa ne pensa?
È una politica miope e dal fiato corto. La crescita di tutta la società sarda passa anche per la rivitalizzazione linguistica, se si pensa agli aspetti economici prodotti dalle nostre peculiarità culturali e storico-artistiche, anche a fini turistici. L’ingresso del sardo in tutte le scuole, se saprà coinvolgere anche i parenti anziani che ancora parlano sardo, sarà cruciale perché la lingua non si estingua per cessata trasmissione intergenerazionale. C’è forte bisogno di ricucire questo trait d’union perso tra generazioni: molti che conoscono il sardo infatti lo considerano un dialetto, spesso si vergognano di usarlo in pubblico e non lo trasmettono ai figli.

Per la scuola materna ed elementare io stesso ho pubblicato un libro didattico illustrato.

Il suo libro, rivolto ai più piccoli, Is primus milli fueddus / Sas primas 1000 allegas in sardu dà spazio a parole sarde originarie riferite a oggetti legati alla natura e alle tradizioni isolane: qual è l’intento?
Accanto alle parole di larghissimo uso che rientrano nell’esperienza quotidiana ho voluto anche recuperare molte parole ormai quasi sconosciute che si rifanno alla casa, al lavoro, al cibo, all’habitat. È un percorso di apprendimento della struttura fondamentale della lingua e del lessico basilare del sardo nelle due macrovarietà che gli insegnanti, con la tecnica dei campi semantici, potranno allargare a piacimento per arricchire il patrimonio linguistico dei bambini.

Se scompare la lingua, scompare l’identità e la cultura di una comunità? Le chiedo di esprimere, magari in sardo, il suo auspicio sul recupero e la valorizzazione della nostra lingua.
Ant nau ca unu pòpulu chi perdit sa lìngua acabat de essi pòpulu e ca dònnia pòpulu est cun sa lìngua sua etotu, sa prus aina manna de s’identidadi, chi fraigat su sentidu suu de su mundu e de sa vida, diferenti de dònnia àtera cultura. Seus a mesu tretu, depeus detzidi intra de lassai de essi pòpulu sperdendi-sì in d-un’àteru pòpulu e un’àtera cultura, o de si pinnicai apari torrendi-sì a cuberai su chi si fait sardus in su mundu. Depeus sciri a chini seus po no si fai apetigai prus, ca pruschetotu po cussu ant circau de si-ndi leai sa lìngua nosta.

Si dice che un popolo senza lingua non possa essere definito tale: i sardi devono decidere se “sperdersi” in un altro popolo e in un’altra cultura o se recuperare ciò che li identifica nel mondo e la lingua sarda è lo strumento che può ricordare loro chi sono.

Pigau de: http://corsicaoggi.altervista.org/sito/sindaco-consiglieri-comunali-ajaccio-ottengono-certificatu-lingua-corsa/?doing_wp_cron=1442938970.6127560138702392578125

Sindaco e consiglieri comunali di Ajaccio ottengono il Certificatu di Lingua Corsa

Il sindaco di Ajaccio, Laurent Marcangeli che ricopre anche la carica di deputato dellaCorsica del Sud all’Assemblea Nazionale assieme a 17 consiglieri municipali e altre persone parte dell’amministrazione cittadina, ha conseguito il CLC, Certificatu di Lingua Corsa. La cerimonia della consegna del Certificatu ha avuto luogo nel Salone Napoleonico del Municipio il 20 di questo mese, in occasione del rientro scolastico (e non alla fine come di consuetudine).

Christophe Mondoloni, responsabile del Reseau GR.ETA Corse che si occupa della formazione extrascolastica nell’isola, in occasione della consegna del certificato, ha affermatoche venti degli amministratori del comune hanno scelto volontariamente di conseguire il diploma, poco prima dell’estate. Hanno seguito qualche ora di lezione in un laboratorio linguistico, utilizzato dei libri di testo, e poi hanno sostenuto l’esame. Questo è un ottimo esempio per tutto il personale comunale, la cui pratica della lingua corsa è essenziale per far sì che la lingua si diffonda e sia trasmessa ai nostri figli.

Il sindaco ha proseguito il discorso affermando che lo studio per ottenere il certificato non ha richiesto deroghe o rinunce ai propri impegni, e che per quanto lo riguarda vuole portare avanti questo discorso delle certificazioni per tutto il suo mandato.

Laurent Marcangeli è il primo sindaco còrso ad ottenere il Certificatu, sperando che sia il primo di una lunga serie.

Ricordiamo che il Certificatu è una certificazione ufficiale della conoscenza della lingua còrsa in vari livelli (A, B, C a loro suddivisi in tre diverse sottocategorie di competenza linguistica) da parte del Ministero dell’Educazione nazionale con il sostegno dellaCollettività della Corsica, che serve soprattutto nel mondo lavorativo e culturale dell’isola. La certificazione viene rilasciata dal 2011 in seguito alla firma della Cartula di a Lingua Corsada parte degli enti statali e culturali locali

Maggiori informazioni sul Certificatu di lingua corsa si possono trovare nel sito ufficiale dell’iniziativa (http://www.certificatu.fr/)

Fonte: Corse Matin e Corse Net Infos

Polìtica linguìstica democràtica in Còssiga:

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Publicaus un’àrticulu de Massimu Pittau su Professori pigau de su blog de Rosebud:

“Tutte le volte che incontro l’amico Diego Corraine provo un senso di malinconia e pure di mortificazione: perché corro con la memoria agli anni Settanta, quando fondammo la «Sotziedade pro sa Limba Sarda», io presidente e lui segretario, e in questa veste organizzammo incontri e manifestazioni in tutta la Sardegna per la salvaguardia e il recupero della lingua sarda. Dopo però ci separammo e la Sotziedade scomparve, quando lui credette di proporre per la Sardegna una “lingua unificata”, creata a tavolino e scritta alla maniera della lingua spagnola, mentre io non ci credetti per nulla. Sta però di fatto che il suo tentativo fallì per due volte per l’ostilità dei Sardi, soprattutto dei Campidanesi – che sono i parlanti più numerosi – quando si accorsero che avrebbero dovuto adoperare una “lingua unificata”, che era una forma di logudorese annacquato. E da allora abbiamo continuato ad assistere alla dissardizzazione linguistica dei Sardi, effettuato in forma massiccia dalla scuola, dai mass media, dalle canzonette, dallo sport, ecc.

E malinconia unita a mortificazione mi è venuta quando qualche giorno fa Diego ha pubblicato un articolo, del quale condivido quasi tutte le considerazioni: che la lingua costituisce il fattore primo e principale di ogni etnia; che la Regione Sarda non si è impegnata al fine di applicare e far applicare realmente una legge regionale e una statale, che pure sono state promulgate, in difesa del sardo e delle altre lingue di minoranza; che una politica in difesa della lingua sarda, mandata avanti con chiarezza e con impegno avrebbe anche le sue ricadute positive di carattere occupazionale a favore dei giovani sardi, ecc.

Eppure, come ho detto e scritto altre volte, ci sarebbe un mezzo del tutto facile e molto efficare, il quale, adottato, consentirebbe non soltanto la salvaguardia della lingua sarda, ma pure il suo recupero nella scuola, nell’amministrazione, nella politica e nella cultura. Si tratterebbe di fare entrare nello Statuto della Regione Autonoma Sarda, un solo nuovo articolo, in perfetta analogia con quanto avviene per gli Statuti delle Regioni Autonome Valdostana e Altoatesina: nella Val d’Aosta e in Alto Adige nessuno può entrare e operare nella scuola e negli uffici pubblici se non conosce la lingua francese e quella tedesca rispettivamente. Ebbene, se noi Sardi vogliamo salvaguardare veramente la nostra lingua sarda, la nostra cultura e la nostra etnia, dovremmo chiedere e pretendere l’inserimento nello Statuto Regionale Sardo di questo nuovo unico articolo, con tre commi: «In Sardegna nessuno può insegnare e operare nelle scuole se non conosce e adopera la lingua sarda. A) Ogni insegnante ha l’obbligo di conoscere in maniera passiva e attiva una delle varietà dialettali della lingua sarda e conoscere in maniera passiva almeno un’altra varietà. B) Nell’elenco e nella scelta delle varietà dialettali da adoperare nelle scuole sono da includere, con uguali diritti e uguale dignità, anche quelle di ulteriore minoranza, cioè alloglotte: gallurese, sassarese, algherese e tabarchina. C) L’uso della lingua sarda e/o delle varietà alloglotte, unitamente a quello della lingua italiana, deve avere anche un carattere strumentale, cioè deve valere anche nell’insegnamento di tutte le altre discipline scolastiche».

A questo punto prevedo un’obiezione: quale sarebbe la lingua sarda da adoperare nelle scuole? Per me la risposta è del tutto facile e semplice: la lingua sarda ha due varietà fondamentali, il logudorese e il campidanese, entrambe ormai formalizzate, entrambe intercomprensibili per tutti i Sardi, la prima adoperata nel Capo di Sopra, la seconda nel Capo di Sotto, entrambe ormai in possesso di un notevole patrimonio di letteratura in poesia e in prosa. A questo proposito si deve pur sapere che ormai abbiamo sia nella varietà logudorese sia in quella campidanese, componimenti poetici di elevato valore letterario, spesso molto superiore a quello della poesiola “T’amo o pio bove” o alla lunga tiritera di “Davanti San Guido”.

Però io escludo con decisione che come lingua sarda sia considerata quella che è stata inventata e denominata la “limba comuna”: secondo me – che sono il linguista che ha scritto più di tutti sulla lingua sarda – questa non è altro che un “grosso pasticcio messo su da grandi pasticcioni”, che la Regione ha avuto la sventatezza di adottare ufficialmente, mentre, esclusi gli inventori, nessun altro Sardo la adopera e nessun altro Sardo la vuole.

Un’ultima considerazione, ma non la meno importante: nell’insegnamento e nell’uso del sardo nelle scuole si dovrebbero distinguere bene due momenti, l’”orale” e lo “scritto”: ebbene rispetto all’orale nelle scuole si dovrebbe insegnare e adoperare il “suddialetto locale”, anche quello del più piccolo villaggio dell’Isola: a Cagliari si dovrebbe insegnare su casteddaju, a Villaputzu su sarrabbesu, a Lanusei su lanuseinu, a Nùoro su nugoresu, a Ollolai su ollollaesu, a Ozieri su ottieresu e via dicendo. Con questo procedimento si otterrebbe il grande risultato di coinvolgere nell’operazione della salvaguardia e del recupero della lingua sarda anche la generazione dei vecchi, i quali sarebbero assai contenti di poter insegnare ai loro nipotini il suddialetto del loro sito natale. Invece nel momento dello scritto gli insegnanti dovrebbero richiedere dagli alunni l’uso del logudorese comune nel Capo di Sopra e del campidanese comune nel Capo di Sotto. Nelle zone alloglotte, Carloforte, Alghero, Sassari, Castelsardo, Gallura si dovrebbero ovviamente insegnare le rispettive parlate.”

Artìculu pigau de: http://rinabrundu.com/2014/10/23/autonomia-speciale-e-lingua-sarda/